PARTNERSHIP AL PROGETTO

PARTNERSHIP AL PROGETTO

Partendo dalla mia idea di progetto, un’Accademia della danza, ho pensato di rivolgermi ad un ballerino professionista, che fa di quest’arte il proprio mestiere, ossia Mattia Di Napoli.

Le ragioni che mi hanno spinta ad individuare il cliente e al tempo stesso promoter di questo programma nella figura di un ballerino professionista, riguardano,  innanzitutto il fatto che il ballerino tende a viaggiare continuamente e quindi a confrontarsi con diversi contesti, realtà, ma in particolare ad esercitare la propria arte in diverse strutture quali Accademie, Scuole di danza, Teatri di tutto il mondo , avendo pertanto una visione più ampia di come dovrebbe essere una struttura in funzione della danza; inoltre M.D.Napoli dirige la parte tecnica dell’Auditorium Massimo di Roma, che si trova all’Eur, e quindi in un contesto molto vicino al nostro.

Biografia…

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Attore e danzatore professionista ,”figlio d’arte”, ha avuto la possibilità e la fortuna di studiare con i maggiori e più rappresentativi Maestri di danza italiani ed esteri (Accademia di Danza, Balletto di Roma, London Ballet, Romanian Ballet, ecc…). Ha al suo attivo numerosi e notevoli lavori, sia in Italia (Aggiungi un posto a tavola, Divina Commedia, Amarcord, Carmen ecc…) che all’estero (Ben Hur Live, English National Ballet , Dance in focus, Rush ecc..) come danzatore. Ben presto ha espanso i suoi orizzonti artistici anche in altre forme d’arte di palcoscenico, canto con maestri del calibro di Masha Carrera, recitazione con Pupi Avati, Mary Ferrara ecc… Ha spaziato nelle diverse forme dello spettacolo partecipando fin dalla più tenera età a trasmissioni televisive ( Zap Zap, Tutti pazzi per la Tele, Pomeriggio cinque, Domenica In, ecc..) e ha anche preso parte a vari film Diretti da Ron Howard, Michele Placido, ecc.. Gia in giovane età ha affrontato varie volte il ruolo di regista, consulente musicale e coreografo per produzioni di musical e video clip musicali. Oggi é nel cast di Jesus Christ Superstar diretto da Massimo Romeo Piparo.

Intervista..

I.G.: Visitando molte scuole di danza, accademie, teatri, avrai notato che ognuna di queste             ha una sua architettura, ma c’è davvero qualcosa che le accomuna?

M.D.N:Se devo essere sincero cambia a seconda del paese in cui vai, sia italiano che estero, in poche parole ci sono due tipi di scuole: vecchia concezione , tipo Accademia Nazionale di danza a Roma e nuova concezione come quella di Milano, molto American ballet per intenderci;

la differenza sta 1 nella distribuzione degli spazi, 2 sullo studio dei materiali che può rendere più o meno calda la sala..come tu ben sai i ballerini hanno bisogno di calore altrimenti si strappano; sicuramente però avere una bella visione come la sala palatina dell’accademia di Roma è uno stimolo in più: l’allievo se è immerso nella bellezza artistica e architettonica rende di più, la cosa che  le dovrebbe accomunare è che devono essere al servizio di chi le usa.. e non essere belle e basta!

I.G: giusto, il vero scopo dell’architettura è proprio questo, fornire un edificio che funzioni! Pertanto se dovessi essere il promoter di un accademia di danza, su cosa punteresti? ossia come ti immagineresti gli spazi? i punti d’incontro? le sale di danza..

M.D.N:

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American Ballet

 

la mia idea stilistica può riprendere il funzionalismo fascista con degli inserimenti di Wright; infatti non a caso anche il teatro-scuola dell’American Ballet ne ha copiato lo stile.

 

 

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The Perry and Marty Granoff Center for the Creative Arts at Brown University (arch.Diller-Scofidio- Renfro)

 

 

potrebbe essere utile adottare questo sistema di divisione tra i piani

 

 

 

 

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di grande impatto per chi è dentro la scuola può essere un ponte che permette al diplomato di accedere alla compagnia stabile del teatro, tipo Royal Ballet.

 

 

 

 

I.G. : Per quanto riguarda le sale di danza, invece , se progetto tre pareti piane, la terza può avere delle forme morbide? o deve essere, vista in pianta, un quadrato o un rettangolo,dalle geometrie semplici?

M.D.N.: Le sale meglio rettangolari o quadrate, perchè quando balli il tuo occhio è abituato a vedere quel tipo di forme nella sala; se tu gli metti una cosa del genere può dargli fastidio nell’esecuzione..creando un disagio sugli spot..Tuttavia le pareti morbide le puoi utilizzare ma devi fare che la parte curva siano le spalle dei ballerini..

I.G.: Come te la immagineresti un’Accademia di danza a Roma, che si distacchi dal prototipo esistente, un luogo in cui i ballerini oltre a danzare, studino e trascorrano la maggior parte delle proprie giornate?

M.D.N. : Riguardo al concetto del tutto insieme, io lo metterei ,però bisogna sapere che negli ambienti professionali è molto pesante lo stress mentale e fisico; perciò avere degli spazi staccati potrebbe permettere uno stacco dell’allievo..questo è quello di cui soffrivano di più i miei colleghi: “il non staccare mai la testa”.

Per esempio a Roma l’Accademia ha il liceo classico, il convitto e l’accademia di danza tutte nella stessa struttura, il che è ottimo da una parte , ma dall’altra dopo tanti anni ti fa diventare un carcerato..e non ce la fai più a starci..

io il convitto, ad esempio, non lo metterei insieme a tutta la struttura..anche se esiste e già c è in moltissime situazioni..

Inoltre una cosa che non deve mai mancare è una sala adibita al relax o stretching

 in modo tale che i ballerini non lo facciano per i corridoi; poi una cosa carina che c è all’accademia vaganova sono dei pianoforti o altri strumenti sparsi per l’Accademia.
I.G.: Per quanto riguarda i materiali, invece? La struttura come la vedresti? Grandi vetrate, Cemento bianco, legno?…

M.D.N.: funzionali, come l’architettura dell’Eur, vetrate e cemento bianco; però per Roma potrebbe essere valido anche un approccio diverso, come lo stacco che crei con l’Ara Pacis….pensaci bene

I.G.: per quanto riguarda l’accesso , lo vedi come un luogo aperto, o chiuso tipo l’Accademia Nazionale di danza a Roma? che se non la conosci nemmeno ti accorgi che si trova lì?

M.D.N : Io da fuori la devo vedere in modo tale che mi incuriosisco ed entro, perchè avrai il teatro e il teatro deve fare pubblico; perciò deve essere accattivante, tuttavia l’ingresso dovrebbe essere riparato, ci saranno molti ragazzini e può essere pericoloso..

I.G. : Ponendo l’attenzione alle sale di danza, di cosa bisogna tenere conto?

M.D.N : Una cosa importantissima è il pavimento delle sale, il quale deve essere parquet, ma non lo stesso che ritroviamo nelle case, bensì un pavimento che tenga conto delle spinte, dei carichi dei ballerini sui solai,del fatto che si danza sulle punte..: “la gente salta!” .

Mentre per quanto riguarda le sbarre io le farei mobili, in modo da poter utilizzare le sale di danza in diversi modi..quasi polifunzionali.

I.G. :Chiudiamo con un’ultima domanda, se dovessi essere il promoter di questo progetto , perchè lo venderesti ? è giusto realizzare un’accademia di danza in un contesto sportivo, dove alle spalle del sito vi è il Villaggio Olimpico?

M.D.N : Il fatto che sta vicino ad un luogo sportivo è buono, ma lo sport è una cosa e l’arte ne è un altra.

Lo venderei perchè in italia in un periodo dove falliscono teatri e accademie un nuovo sito con una nuova gestione diversa, tipo americana potrebbe rilanciare sicuramente il settore..

 

 

 

 

 

 

Guggenheim museum di Bilbao F.O.Gehry

Guggenheim museum di Bilbao F.O.Gehry

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Il museo di Bilbao, opera dell’architetto canadese Frank Owen Gehry , può essere considerato uno dei più importanti esempi di architettura del XX secolo.

Innanzitutto il sito scelto direttamente dall’architetto nel Maggio del 1991, si colloca in un contesto caotico e degradato: un’area industriale che si allunga longitudinalmente lungo il Rìa del Nerviòn o de Bilbao ed è scavalcata da una rampa di un ponte sul grande fiume;  alle spalle, invece, vive la città ottocentesca e di fronte dalla parte opposta del fiume l’università, al di sopra della quale vi è una collina.

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L’intento di Gerhy era quello di riqualificare questa parte della città, abbandonata,lasciata quasi al degrado , attraverso la creazione di un architettura “urbanscape” , ossia un’architettura che diventi lei stessa “paesaggio” e che attraverso ogni movimento sia in grado di coinvolgere lo spazio urbano circostante: riagganciare la città al fiume,il centro alla periferia.

L’edificio è “contestuale”, arrivando dal Lungo Fiume, ad esempio, esso viene segnalato dalla presenza della torre, mentre dall’altra parte il Guggenheim si apre alla città di Bilbao attraverso una piazza; infine il ponte entra nel progetto sia da un punto di vista funzionale che spaziale.

L’idea principale alla base del progetto è la concatenazione tra i corpi che si intrecciano uno sull’altro; tuttavia questo incastro è fatto per creare dei vettori, delle linee forza esterne: il museo è una sorta di magnete che lancia vettori nell’atmosfera!

Gehry, probabilmente,riprende lo stesso concetto espresso dalla scultura di Boccioni, usando un unico termine la “traiettoria” futurista: ossia le direttrici protese nello spazio sono sì rettilinee, ma nella tensione a fendere l’aria si deformano, pertanto la retta diventa arco,parabola appunto traiettoria!

A differenza di Eisenman, il quale sperimenta il movimento in architettura da un punto di vista bidimensionale (riferimento alla pittura di Balla), Gehry può essere paragonato a Borrimini nel sagomare masse sinuose e dinamiche che rimbombano nell’aria e deformano lo spazio circostante.

Sotto l’illuminazione notturna, l’edificio con le sue traiettorie slanciate e curvilinee, rimanda ad un universo in continuo movimento e alla creazione di quella “luna meccanica” invocata dai futuristi.

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Tuttavia oltre alla componente plastica, che emerge da subito da questo progetto, il museo Guggenheim di Bilbao presenta altri importanti aspetti:

la lettura in chiave di  cattedrale moderna, sia da un punto di vista distributivo, morfologico ma anche sociale ed economico;

per quanto riguarda la sfera sociale, il museo può essere visto come la meta di un pellegrinaggio, un condensatore sociale del nuovo consumo culturale e la torre serve, proprio, a segnalare la presenza di questa cattedrale venendo dal fiume;

dal punto di vista formativo il grande atrio centrale sembra configurarsi come lo spazio dell’altare, che con i suoi 50 metri di altezza mostra un ascensione verso l’alto; così come il corpo delle installazioni può essere letto come una navata; a concludere questo scenario, accanto al ponte , non vi può che essere il campanile, un rimando esplicito alle antiche chiese.

L’atrio, inoltre, risulta essere il centro generatore, un centro aperto a trincea, in cui i sistemi distributivi si inseriscono in modo periferico,lasciando lo stesso centro libero, come un cuore dal quale si diramano i vasi sanguigni.

Intorno all’atrio, si irradiano, pertanto,  gli altri volumi in corpi distinti a seguire le diverse articolazioni del programma, infatti questi assumono delle forme che sono espressione della funzione che verrà svolta in esse. La parte oblunga, ad esempio, che sembra evocare la pancia di una balena, dovrà ospitare le opere di artisti di grandi dimensioni; mentre il transetto collocato al lato della piazza riproduce la scatola delle sale espositive.

Il rapporto con l’ambiente circostante (urbanscape), la costruzione, la spazialità (traiettoria ), l’espressività (cattedrale ), la funzionalità (iperfunzionale) invece di essere concepite come un insieme gerarchico concatenato, funzionano come delle “equazioni indipendenti”: ciascuna equazione viene ottimizzata al suo interno e passa una condizione, un risultato all’equazione successiva che a sua volta si ottimizza all’interno dei propri parametri. Pertanto, il sistema è parallelo, un continuo dare forma a cose concomitanti.

La ragione che mi ha portato a scegliere uno dei capisaldi dell’architettura del secolo scorso è stata prima di tutto la componente dinamica del progetto, questi solidi sembrano ballare, fendere lo spazio circostante, dialogare tra loro secondo dei principi moderni, ma al tempo stesso riescono a incorporare l’ambiente urbano , creando un’opera antiscultorea, iperfunzionale e urbanscape.

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